di Alessio Luca Bartelloni
da Sofocle

Dopo un anno dalla morte di Edipo, i suoi due figli si massacrano a vicenda alle porte di Tebe per il trono della città. Creonte, il nuovo sovrano, emana un decreto inappellabile, e da qui ha inizio la tragedia: colui che è morto difendendo la patria dovrà essere celebrato con tutti gli onori, mentre l’altro dovrà giacere insepolto, preda di uccelli e cani. Antigone, sorella di entrambi i caduti, trova questo ordine inaccettabile e dà sepoltura a suo fratello, anteponendo alle leggi degli uomini le leggi sacre degli dèi. Condannata dal sovrano a trascorrere il resto dei suoi giorni in una grotta, neppure le suppliche di Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone, potranno indurre il padre alla pietà. Ma la furia degli dèi è implacabile: un cadavere senza sepoltura e una ragazza murata viva costringeranno Creonte a fare i conti con la sua rovina.

© Foto di Päivikki Keisala

NOTA DI REGIA (e di scrittura)

Confrontarsi con un testo dalla tradizione millenaria provoca sempre un certo timore. Non tanto per gli innumerevoli adattamenti che nel corso della storia hanno visto Antigone esplorata e sviscerata nei più reconditi meandri, quanto per le riscritture che da Jean Anouilh a Giancarla Dapporto, passando per Bertolt Brecht, hanno dimostrato l’inesauribilità di un’opera capostipite dell’intera civiltà occidentale. E proprio come una riscrittura sofoclea Per Amore dei Morti si presenta. Sofocle è infatti punto di partenza, ma non di arrivo, dell’operazione svolta sul testo: nodo focale per questo allestimento è la distinzione fra il tragico antico e il drammatico contemporaneo, nell’intento di sottolineare lo scarto tra questi due registri. L’opera, fedele in tutto e per tutto alla trama sofoclea, alterna scene drammatiche scritte ex novo a scene del testo tragico originale. Una distinzione fatta di linguaggio, stile, materia trattata, ma che pervade visivamente persino gli abiti scenici: l’assenza del mantello o la sua versione aperta sul petto segna la dimensione del drammatico, al contrario la sua versione chiusa dichiara la dimensione del tragico. La sfera del drammatico è ad ogni modo calibrata sulla statura dei personaggi stessi: per le tre guardie, che appartengono a una classe sociale bassa, l’esito è il genere del grottesco, mentre per Emone e Antigone, qui (come nel mito) due ragazzini, l’esito è la rappresentazione di un amore adolescenziale, un microcosmo di intesa fuori dagli schemi e dal mondo. Le forti impennate modernizzanti mirano a pungere e sfidare lo spettatore, ma con li proposito di evitare banali provocazioni. Il Coro, organo vitale della tragedia greca, è qui eliminato perché elemento troppo distante nelle sue funzioni dalle coordinate culturali attuali: sopravvivono di questo alcune tracce nella scena inedita della celebrazione di Eteocle, il fratello a cui spettano gli onori della città, nel monologo dell’attore che ne esegue il rito. lI personaggio del Corifeo, originariamente guida del Coro, è diventato un alto funzionario del regno di Tebe, consigliere e amico di Creonte. Altri ammodernamenti riguardano i lividi di Antigone: la violenza, del tutto esclusa dalla rappresentazione nella tragedia classica, serve qui a manifestare l’aggressività dello Stato, secondo una concezione per cui il potere costituito è sempre antitetico alla libertà individuale e mai suo fondatore.

Per Amore dei Morti. Antigone dall’abito sporco è il tentativo di coniugare una scrittura antica a una scrittura nuova, che dalla prima discende. La frizione tra questi due piani è talvolta attutita e talvolta esaltata. Tramite uno sguardo inedito a personaggi immortali, l’opera è volta ad approfondire la loro psicologia così come le dinamiche delle loro relazioni interpersonali, secondo una precisa e personale interpretazione artistica.