In un tempo non troppo distante, ma che in certi momenti sembra proiettato in un passato lontanissimo, tutto quello che c’era era un tavolo ingombro di libri con nove ragazzi intorno. Nessun nome, nessun logo, nessuna convinzione certa sulle forme che avrebbe preso quella nostra cosa non ancora nata, ma che eravamo determinati a far esplodere quanto prima.

L’unico pensiero forte che teneva in piedi quel tavolo era il desiderio di un progetto che ci portasse, nell’arco di qualche mese, a un’esperienza altra del teatro da sempre conosciuto e praticato, più avvolgente, più immersiva, più profondamente nostra.

 

 

 

Prima ancora che Teatro Res 9 vedesse la luce, l’opera di esordio era già decisa: un riadattamento dell’Antigone di Sofocle in cui la sensibilità antica e quella contemporanea potessero coesistere, intrecciarsi, cozzare e rimbombare, in quell’armonia di dissonanze che fin dal principio volevamo a fondamento del nostro essere Teatro. Nei mesi successivi, mentre tutto il resto assumeva contorni più nitidi, anche il progetto si definiva concretamente, i compiti erano divisi secondo le potenzialità e le aspirazioni di ciascuno, finché il futuro che in quelle nostre prime riunioni autunnali pareva perennemente remoto non è sfumato nell’attimo prima del buio in platea.

 

 

 

Per Amore dei Morti. Antigone dall’abito sporco è andato in scena il 19 e il 20 maggio scorsi, due sere e un pomeriggio. Due standing ovations. E un’accoglienza che non avremmo mai osato sperare.

In sala, generazioni diverse riempivano lo stesso spazio, e file occupate da professoresse e cultori della classicità si alternavano ad altre strabordanti di ragazzi e ragazze del liceo, in un’eterogeneità di pubblico che non è facile vedere in nessun teatro. Molti gli spettatori visibilmente commossi o dichiaratamente impressionati, e tuttavia il sentimento più diffuso era lo stupore di chi temeva di lasciare la platea affascinato ma spossato, e al contrario si era scoperto toccato nel profondo da un testo antico e recente nello stesso tempo.

 

 

 

Nei giorni seguenti, non hanno smesso di arrivarci commenti appassionati, opinioni ponderate, riscontri accalorati; tutti i sintomi di una recezione partecipata e scossa di uno spettacolo che voleva essere esattamente questo: l’epicentro di riflessioni incalzanti e stimolanti, vive.

 

 

 

In questi mesi abbiamo potuto contare sull’aiuto di tanti amici e sostenitori, a cui, non meno che al nostro pubblico, spetta tutta la nostra gratitudine. Tra loro, alcuni hanno condiviso con noi un pezzo importante di questo percorso: il direttore artistico del Teatro Jenco, Andrea Bruno Savelli, e l’assessora alla cultura Sandra Mei, senza i quali niente sarebbe stato possibile; i Fratelli Cinquini Scenografie, che su progettazione di Umberto Cinquini hanno realizzato per noi un autentico gioiello; i nostri tre giovani e preziosi compagni di palco, Matilda Maffei (l’ancella di Tiresia) e Nicola Lazzari (Emone), di Teatro Rumore, e Viola Palagi (Antigone), della Policardia Teatro, che hanno fatto propria la nostra pazzia, arricchendola d’un valore inestimabile.

 

 

Alla fine di ogni retrospettiva, c’è una convinzione in particolare su cui non abbiamo dubbi: questo per noi non è un punto di arrivo. Non lo abbiamo mai concepito così e non inizieremo ora. Per Amore dei Morti tornerà presto in scena, per le scuole e per il pubblico, anche e soprattutto al di fuori della nostra zona. Prima e dopo, progetti nuovi e numerosi vedranno la luce, e noi continueremo a portare avanti l’idea di un teatro che non ha paura di gridare alto ciò che può turbare, di provocare senza banalizzare. Procederemo su questa strada, come fin dall’inizio abbiamo voluto fare.

Sempre sotto la stessa stella.

Luca Orlandi

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