Ad alcune è stato facile rispondere, ad altre decisamente meno, ma tutte avevano una loro sensatissima ragion d’essere: le domande degli studenti dell’istituto Marconi di Viareggio sono state un modo bellissimo per risvegliarsi d’un tratto in platea, tra le curiosità e i pensieri dei nostri spettatori. Mercoledì 1° e venerdì 3 febbraio abbiamo incontrato le classi del Marconi che il lunedì precedente avevano assistito alla nostra messa in scena de L’istruttoria di Peter Weiss, per chiarire i loro dubbi, ascoltare le loro riflessioni o semplicemente parlare insieme di quello che li aveva colpiti, nel bene e nel male.

Il teatro è un mondo che questi ragazzi conoscono poco: la maggior parte di loro non ne ha mai fatto esperienza al di fuori di una cornice scolastica («Sì, ci sono stato una volta alle medie», «Io alle elementari!»), mentre per altri è stata la loro prima volta. Non stupisce quindi che alcune tra le domande più frequenti riguardassero la concreta organizzazione di uno spettacolo: «Come è avvenuta la suddivisione delle parti?», per esempio, o «Quanto tempo ci avete messo per fare tutto?». Molte esploravano con vivo interesse la preparazione di un attore, dalla capacità di unire parole, emozioni e gesti all’importanza di variare le interpretazioni senza risultare innaturali. C’era chi si interrogava sulla difficoltà di rimanere sempre in scena, chi si chiedeva se fosse più difficile interpretare un personaggio buono o uno cattivo, e chi con notevole spirito pragmatico meditava con una certa apprensione sulle virtù mnemoniche dell’attore.

Due osservazioni che ci hanno particolarmente colpito. Il commento di un ragazzo a una nostra scelta registica: «Nella scena in cui si vedeva l’imputato di spalle mi sono sentito ancora più partecipe, ho proprio avuto l’impressione di essere anch’io uno dei testimoni, di quelli che quel processo e quegli eventi li ha vissuti in prima persona». E l’opinione personale di un altro ragazzo: «Io non ho niente da chiedere: è stato uno spettacolo pieno, concluso. Conteneva già in sé le risposte a tutte le domande».

Studenti e studentesse hanno saputo cogliere con grande lucidità (e attenzione) dettagli tutt’altro che scontati, come la gamba di un imputato che “balla” per l’ansia e i secondi cruciali di silenzio tra la domanda del giudice e la risposta dei testimoni – a ulteriore conferma di quanto fondamentale sia la comunicazione non verbale, spesso sottovalutata, anche per un pubblico di non esperti. Non pochi hanno individuato quella che è forse la difficoltà più grande di un certo tipo di teatro, e de L’istruttoria in particolare: rendere interessante uno spettacolo dove non si vede ciò che viene raccontato. Ma la sfida sembra essere stata vinta se, a detta di una ragazza, «Io e una mia compagna abbiamo avuto l’opportunità di visitare Auschwitz qualche tempo fa e nei racconti dei vostri personaggi siamo riuscite a rivedere quei luoghi, come se a un tratto ci fossimo trovate di nuovo là».

Negli incontri con singole classi, gli interventi degli studenti non si sono limitati soltanto a domande o considerazioni su interpretazione attoriale e regia, ma si sono sempre spinti al cuore dell’argomento trattato, ossia all’orrore della Shoah. Ci limitiamo a riportare il pensiero di una giovane studentessa di seconda superiore: «Secondo me, Auschwitz è stato possibile perché fin dall’infanzia è stato fatto un vero e proprio lavaggio del cervello, per rendere normali atteggiamenti di odio e violenza». Sono parole che pongono un problema sempre tragicamente vivo: il ruolo dell’istruzione. E noi, nel nostro piccolo, possiamo solo dirci felici di aver ricevuto da un professore un ringraziamento speciale: «La vostra rappresentazione è stata un grosso aiuto per noi insegnanti. Con la vostra arte, siete riusciti a far riflettere su argomenti tanto complessi ragazzi poco abituati a leggere e a informarsi».

Ma la conferma più emozionante di quanto il teatro agisce è arrivata, di nuovo, da uno studente, un ragazzo del terzo anno. Quando era ancora alle elementari, ebbe l’opportunità di assistere con la scuola a Nella Mano la Memoria, lo spettacolo composto e diretto dal nostro maestro Davide Moretti sulla strage di Sant’Anna di Stazzema, in scena nel gennaio del 2016 al teatro Politeama di Viareggio, e a scuola a distanza di sette anni ha riconosciuto Alessio, a quel tempo nel ruolo del comandante nazista responsabile dell’eccidio: «Volevo dirvi che mi ricordo ancora di quello spettacolo. Mi colpì tantissimo. Quando finì non riuscii a impedirmi di piangere».

Il greco Gorgia sosteneva che la tragedia è un inganno, e chi è ingannato è più saggio di chi non si lascia ingannare. Vorremmo dedicare questo pensiero alle ragazze e ai ragazzi con i quali abbiamo avuto il privilegio di confrontarci in questi giorni e che ci hanno dato prova di un’imprevedibile maturità e profondità umana. Ringraziamo di cuore il vicepreside prof. Flavio Andreozzi per aver perfettamente coordinato e organizzato gli incontri con le classi, i professori che si sono resi disponibili all’iniziativa e soprattutto gli studenti. Voi ragazzi avete reso questi confronti l’occasione perfetta per un dialogo autentico e libero tra palco e platea, come troppo raramente avviene. Forse adesso possiamo rispondere con più sicurezza a chi ci domandava se, prima di tutto, questo spettacolo avesse fatto bene a noi: sì, l’esperienza de L’istruttoria ci ha fatto crescere, come attori e come persone.

E non c’è dubbio che il merito è anche vostro.

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